Non basta un governo per fare un’alleanza strategica

Non basta un governo per fare un’alleanza strategica

Nel mio intervento alla riunione della direzione nazionale del 15 ottobre ho cercato di affrontare gli argomenti su cui a mio avviso serve un’urgente riflessione del partito, per decidere insieme linea politica e sua concreta realizzazione.

Analisi delle sconfitte e nuovi orizzonti

A partire dal congresso nazionale che ha eletto segretario Zingaretti e che avrebbe dovuto costituire un momento fondativo per il partito reduce da una sconfitta così importante come quella del 4 marzo 2018, le cui radici a tutt’oggi non sono state indagate in maniera approfondita. E’ mancata allora un’analisi sul nostro orizzonte alla luce di quella bocciatura elettorale, sul senso della nostra funzione nel panorama politico italiano. Né questo momento collettivo di riflessione è avvenuto dopo. Avevamo già deciso di celebrare in autunno la costituente delle idee, ma sicuramente non immaginavamo di doverla svolgere come forza di Governo. Questo evento certamente positivo, ha imposto una nuova agenda politica che ci vede e ci ha visti protagonisti nella battaglia contro i sovranismi e i populismi e che ci ha restituito vigore e spazio d’azione. Ma ora il nodo sul chi siamo e dove vogliamo andare dobbiamo affrontarlo e, se possibile, scioglierlo per evitare che possa incidere negativamente proprio sulla nostra azione di Governo.

La nuova agenda politica

Partiamo dal Sud: dobbiamo condividere fino un fondo un modello di sviluppo del Paese che colmi i ritardi strutturali, consapevoli del fatto che anche i nostri Governi non hanno percorso fino in fondo questa strada soprattutto nell’ambito dello sviluppo delle infrastrutture a cominciare dal mancato avvio della realizzazione dell’alta velocità Salerno Reggio Calabria. Così come ha pesato la non applicazione della legge che prevede nelle regioni meridionali almeno il 34% della spesa totale per gli investimenti nazionali, non solo quelli dello Stato, ma anche quelli delle grande aziende pubbliche come RFI.
Non è un caso che proprio nelle scorse settimane è stata inviata una Lettera della Commissione europea che accusa l’Italia del cattivo utilizzo dei fondi europei sugli investimenti al Sud, perché “non rispettano i livelli previsti per non violare la regola Ue dell’addizionalità” Nella lettera, il direttore generale per la Politica regionale della Commissione UE, Marc Lemaitre sottolinea come fondi strutturali impattano sull’economia solo se non vanno a sostituire la spesa pubblica, ma sono un “valore aggiunto”.
Così come quando Zingaretti afferma (e io condivido) che i temi della giustizia sociale sono strategici e politiche attive del lavoro, l’approccio non deve essere caritatevole ma finalizzato a distinguere il diritto reddito dal diritto al lavoro.
E sui grandi temi legati all’immigrazione occorre segnare una discontinuità netta con l’era Salvini; bene la proposta di Zingaretti di modificare i decreti sicurezza, ma allora come si giustifica la circolare di Di Maio-Buonafede sull’accelerazione dei rimpatri, di fatto un decreto sicurezza ter? E ancora sull’innovazione, nonostante sia stato il PD, nella sua passata esperienza di governo, ad aver impresso un’accelerazione sullo sviluppo dell’Agenda digitale e delle nuove tecnologie, oggi sembra abbiamo abdicato al ruolo di guida di questi processi soprattutto su 5g, internet delle cose, intelligenza artificiale cyber security e impresa 4.0.
Ma sopra dobbiamo respingere e resistere al tentativo – che pure intravedo in alcuni segmenti del partito – di essere fagocitati dal Movimento 5stelle. Anzi dobbiamo essere egemoni e far affermare la nostra cultura riformista. In particolar modo dobbiamo evitare di essere risucchiati dalla deriva giustizialista, che è tratto distintivo dei grillini, e da cui invece dovremmo distinguerci, perché apparteniamo a una forza politica che del garantismo e dello stato di diritto deve farsi sano interprete.

Facciamo valere lo statuto del PD

Altro tema che merita tutta la nostra attenzione è quello legato alla vita interna del partito e alle sue dinamiche decisionali. Non abbiamo il capo demiurgo e non vogliamo avere capetti che si dividono le postazioni di partito o di gruppo. Nel Pd non possono contare le correnti e ancora peggio le sottocorrenti nazionali con diramazioni locali, ma gli iscritti e dirigenti. Così recita il nostro statuto e così abbiamo il dovere di fare. Il principio di autonomia decisionale e di prossimità deve essere un faro d’azione. Il partito democratico o è laico, pluralista, garantista e riformista o non è.

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