Fabiana Luzzi: un femminicidio che non dimentichiamo

A sei anni dal Femminicidio di Fabiana: la sua storia

Il 24 maggio del 2013 fu segnato da una tragedia profonda: la violenza brutale che subì Fabiana. La notizia del femminicidio della giovane studentessa sedicenne di Corigliano accoltellata e poi bruciata mentre era ancora agonizzante, scosse non solo la Calabria ma tutto il Paese.
In un giorno di dolore così profondo non poteva esserci modo migliore per onorare la memoria di Fabiana che stringerci, ancora una volta, attorno alla sua famiglia. E nello stesso tempo sostenere le attività di chi quotidianamente si batte per dare una rete di protezione alle tante, troppe donne ancora vittime di femminicidi in Italia.

Lo scorso 24 maggio eravamo come ogni anno a Corigliano insieme al Centro Antiviolenza “Fabiana”, riconosciuto nel luglio scorso dalla Regione Calabria e in gran parte finanziato proprio da fondi regionali.
I casi di femminicidio non sono un fatto privato, ma colpiscono tutti noi. E le cause di femminicidio vanno combattute sopratutto tra le nuove generazioni: è necessario trasformare le parole di odio in empatia; è necessaria l’educazione al rispetto; occorre creare consapevolezza che un genere diverso dal tuo ha gli stessi diritti; serve un’educazione alla relazione.

Forti le parole della dirigente scolastica dell’istituto che Fabiana frequentava! Ci ha ricordato che il dolore si conserva e – anche se spesso non riusciamo a dargli un senso – può essere un insegnamento per il futuro, per orientare le nostre scelte, per combattere insieme nella costruzione di una società dei diritti: più giusta, più civile e meno violenta, per dire stop al femminicidio.

Tavola rotonda in ricordo di Fabiana: cosa si è fatto contro il femminicidio

La tragica fine di Fabiana è stata un monito. Nel giorno del ricordo, non solo la sua memoria rivive nel parco comunale o nella palestra scolastica che portano il suo nome, ma anche nella discussione che si è animata nel pomeriggio del 24 maggio scorso, durante una tavola rotonda dal titolo: “Dolore e giustizia. Testimonianze di donne e familiari vittime di violenza”. Un’importante occasione per discutere di statistiche di femminicidio che ci restituiscono la predominanza della violenza domestica e ancora per trarre un bilancio. In questi anni contro questo orribile crimine si è fatto molto, dall’ultima legge “codice rosso” che grazie all’intervento delle opposizioni ha visto inserito l’emendamento che introduce il reato per punire il revenge porn, l’odiosa pratica di diffondere materiale intimo a scopo vendicativo, alle misure volte contro i reati di stalking. Una battaglia trasversale che non conosce bandiere politiche, che inizia per fatalità proprio nel giorno del morte di Fabiana, con la ratifica da parte dell’Italia della Convenzione di Instabul.

Se la legge sul femminicidio già esiste, cosa resta da fare?

Le pene severe ci sono, le leggi ci sono, l’Italia da questo punto di vista è avanti rispetto agli altri paesi europei. In che direzione si deve proseguire allora? Quello su cui bisogna insistere è la prevenzione, il potenziamento del sistema di ascolto e protezione delle donne che hanno il coraggio di denunciare, e che non devono essere lasciate sole. È necessaria poi, occorre ribadirlo, una battaglia profonda di tipo culturale: la liberazione dallo stereotipo che l’amore sia possesso dell’altro. Non si tratta di indignarsi sull’ultimo femminicidio che ci viene restituito dalle cronache, ma di una battaglia che ci deve vedere impegnati uomini e donne in questo processo di liberazione che non è stato ancora compiutamente portato a termine, ma che rappresenta il punto di svolta per invertire la rotta.

Un nuovo significato del corpo femminile

Adrienne Rich nel suo libro ‘Nato di donna’ affida a se stessa e a tutte le donne questo compito: “La riappropriazione del nostro corpo apporterà alla società umana mutamenti molto più essenziali dell’impossessarsi dei mezzi di produzione da parte dei lavoratori. Il corpo femminile è stato al tempo stesso territorio e macchina, terra vergine da sfruttare e catena di montaggio produttrice di vita. Dobbiamo immaginare un mondo in cui ogni donna è il genio tutelare del suo corpo. In tale mondo le donne creeranno autenticamente nuova vita, dando alla luce non solo figli (se e come lo vogliono), ma le visioni e il pensiero necessari a sostenere, confortare e modificare l’esistenza umana: un nuovo rapporto con l’universo. La sessualità, la politica, l’intelligenza, il potere, la maternità, il lavoro, la comunità, l’intimità creeranno nuovi significati, il pensiero stesso ne uscirà trasformato. Di qui dobbiamo cominciare”

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