Tra i veti del Pdl e le delegittimazioni dei professionisti dell’antimafia Rosy Bindi è la proposta più forte per l’antimafia

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Intervista su Ilsussidiario.net 23 ottobre 2013. Di Paolo Nessi

ANTIMAFIA & BINDI/ Bruno Bossio (Pd): una nomina che non piacerà a Santoro e Travaglio

Neppure con le larghe intese, quando si tratta di spartirsi le poltrone, ci si intende. Rosy Bindi è stata eletta presidente della Commissione antimafia con 25 voti. Il Pdl, nel corso dello scrutinio, ha disertato l’aula e, in futuro, non intende riconoscergli il ruolo appena assunto. In ogni caso, la commissione è, attualmente, operativa e nel pieno delle sue funzioni. Abbiamo parlato con Enza Bruno Bossio, onorevole del Pd che ha contribuito in misura determinante all’elezione della Bindi, di tutti i nodi che l’organismo collegiale dovrà affrontare.
In cosa è consistito il suo ruolo nell’elezione di Rosy Bindi?
Io, ma anche tutti gli altri colleghi, di fronte al gossip di un’intesa su cui non ci sono mai stati pronunciamenti, ho fatto presente che era necessario andare avanti con il nostro nome, senza accettare veti o ricatti.
Non sarebbe stato meglio trovarlo l’accordo?
Beh, sì. Ma il Pdl, alla fine, non si è presentato.
Perché proprio la Bindi?
E’ il nome che abbiamo indicato fin dall’inizio. E’ stata eletta in Calabria, e abbiamo pensato che la sua nomina avrebbe rappresentato un segnale importante per una regione tanto colpita dalla criminalità organizzata. Infine, il fatto di esser stata ripetutamente attaccata dai professionisti dell’antimafia, è di per sé garanzia del fatto che è la persona giusta.
A chi si riferisce?
A tutti quelli che vanno nei salotti televisivi a discettare di mafia ma che non sono mai stati in prima linea.
Ce l’ha con qualche giudice o pm?
Ma no, per lo più mi riferisco ai giornalisti.
Ci faccia un nome.
Michele Santoro.
E Travaglio, no?
Ma certo, anche lui. Almeno, a volte. Per carità, non ce l’ho personalmente con loro. Ma con chi si professa esperto in materia. E’ un metodo che, in generale, non è accettabile.
Che male c’è?
Si può essere esperti di trasporti, di economia. Solo chi è in prima linea nel combatterla, però, può essere esperto di mafia. Non di certo un commentatore.
Cosa dovrebbe fare, concretamente, la commissione antimafia?
Fornire un indirizzo politico volto a rafforzare gli strumenti in mano alle forze dell’ordine e alla magistratura, e sostenere chi svolge un’attività culturale ed educativa di contrasto al mondo mafioso.
Prendiamo il caso di Comuni in cui c’è il sospetto di infiltrazioni mafiose.
La commissione potrebbe entrare nel merito delle vicende prima che la situazione esploda. Senza aspettare, cioè, l’intervento del ministero dell’interno.
Non crede che compito della commissione sarà anche quello di riflettere sulla spettacolarizzazione di alcune inchieste?
Beh, lei sta parlando con una che è stata “vittima” di De Magistris.
Ci racconti.
La bufala Why Not parte da un’inchiesta che mi ha riguardato. Ecco, nonostante dovrei essere considerata un simbolo per chi crede nella giustizia, perché sono state assolta sia in primo che in secondo grado da accuse infamanti, ho, ormai, il marchio dell’impresentabile. Che mi è stato imposto, per l’appunto, dai professionisti dell’antimafia. Purtroppo, la giustizia, oltre che dal potere giudiziario, viene amministrata dal quarto potere, in grado di comminare a piacimento la pena aggiuntiva della gogna mediatica. Detto questo, non credo che sia compito della commissione porre rimedio alla politica, ma della politica in generale.
Come?
Il problema di fondo riguarda un certo rapporto tra magistratura inquirente e politica. Quest’ultima, per riacquistare dignità di fronte ai pm, dovrebbe riaffermare il garantismo. Dovrebbe, quindi, rimettere al centro la Costituzione. Sembra banale dirlo, ma nessuno può essere considerato colpevole fino a quando non è stata emessa nei suoi confronti una condanna definitiva. Oggi, è sufficiente essere indagati o rinviati a giudizi per essere considerati dei lestofanti.

(Paolo Nessi)

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