Non è il lavoro ripetitivo che nobilita l’uomo ma il lavoro creativo che i robot ci permetteranno di fare.

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La politica può aiutare lo sviluppo dell’innovazione? Penso di si. Basti pensare, ad esempio, al piano del Governo tedesco del 2011 su Industria 4.0 e a quello del governo italiano, presentato lo scorso Settembre dal Ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda.
Per quel che riguarda il tema del convegno, la questione etica e innovazione non è di oggi, ma parte da lontano. Perché la Scienza è alla base dell’innovazione. Alla base dell’innovazione c’è la ricerca, intesa come ogni attività umana volta allo studio che abbia come fine l’acquisizione di nuove conoscenze. Ma la Scienza si deve fondare sull’etica della responsabilità partendo dal concetto Kantiano di considerare sempre l’uomo non come mezzo ma come fine.
In questo contesto parliamo di Corporate Social Responsabiliy.
Oggi, la sostenibilità si può armonizzare con il profitto, perché c’è di mezzo la reputazione, che, proprio a causa della invasività del digitale, attraverso social network e sharing economy, diventa immediatamente visibile.
Ma, soprattutto, la robotica è destinata a divenire sempre più pervasiva in tutti i settori dell’industria e della società contemporanea.
Per questo, il Parlamento Europeo, ha già discusso una proposta per riconoscere uno stato legale ai robot, categorizzandoli come persone
elettroniche, sottolineando la necessità di introdurre una nuova legislazione, focalizzata su come le macchine possano essere considerate legalmente responsabili per le loro azioni ma anche omissioni.
E anche in Italia, proprio in questa settimana, approveremo la mozione su robotica e intelligenza artificiale che pone tra le altre cose il tema sociale “se i robot ci ruberanno il lavoro”.
Il 20 Gennaio 2016, Klaus Schwab, fondatore e Presidente esecutivo del World Economic Forum, ha presentato un rapporto dal titolo:”Il futuro del lavoro. Occupazione, competenze e organizzazione del lavoro per la IV° rivoluzione industriale”, dove si sostiene che dobbiamo prepararci ad un drastico calo dell’occupazione industriale in seguito allo sviluppo della robotica, dell’intelligenza artificiale, che progressivamente andranno a sostituire il lavoro umano.
Secondo questa ipotesi entro il 2020 spariranno 7,1 milioni di posti di lavoro nel mondo, e ne verranno creati 2 milioni, il che significa una perdita netta di 5,1 milioni di posti.
Ma altri, però, affermano che «non possiamo sapere con precisione quali saranno i modelli di business», e non significa che se non esisteranno più i lavori di oggi ci sarà il vuoto. Altri, ancora, sostengono che Industry 4.0 riporta “il lavoro dell’uomo al centro
della fabbrica” anche se ci vorranno nuove skills, completamente diverse in un nuovo mercato del lavoro.
E, infine, c’è chi, da ricerche effettuate, sostiene che «guadagneremo 7 milioni di posti, ma bisogna essere competenti, appunto, in ambito digitale».
Forse, proprio per questo, il giovane americano Sam Altman, il perfetto prototipo del Nerd di successo della Silicon Valley, vuole sperimentare, finanziandolo, per un periodo di cinque anni un reddito di base per un gruppo di persone rimaste fuori dal ciclo produttivo di quel territorio americano.
Fornendo potenzialmente a tutti un reddito di questo tipo, però, si dice che si andrebbe incontro a una società in cui lavorare diventa un’opzione. Una società post-lavoro, insomma; difficile da accettare in una “Repubblica fondata sul lavoro” come la nostra, in cui il lavoro è anche “una forma di affermazione e costruzione dell’identità personale”.
Ma non è il lavoro ripetitivo che nobilita l’uomo, ma il lavoro creativo che i robot ci permetteranno di fare.
A fronte di questa prospettiva, affinché vi sia una prospettiva di liberazione dal e del lavoro e non un nuovo dispositivo di comando e sfruttamento, i robot hanno composto la dichiarazione robotica per il reddito di base.
Eccola: Il Manifesto dei robot per il reddito di base

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