Industria 4.0 scelta strategica per lo sviluppo del Paese

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Industria 4.0 significa parlare di una nuova politica industriale.
Con Industria 4.0 cambia il modello di business, cambiano le relazioni tra grande impresa, fornitori e consumatori.
Nuovi spazi si aprono con l’analitica dei big data e con la cosiddetta open innovation.
I confini tra manifattura, servizi e settori si faranno sempre più rarefatti in un processo di cosiddetta “servitizzazione” del manifatturiero.
Concretamente, il problema dell’economia italiana si chiama produttività. Tradotto: oggi nessuno in Europa produce più lentamente e ad alti costi di noi. Confindustria parla chiaro: il differenziale sul pil rispetto alle altre grandi potenze europee «è spiegato in larga parte dall’andamento della produttività, che nello stesso periodo e per l’intera economia è aumentata del 10,9% in Germania, del 12,6% in Francia e del 17,4% in Spagna, contro il +0,2% dell’Italia.
Non è lo 0,1% di crescita del Pil in meno, tra il 2016 e il 2017 che ci deve levare il sonno, la notte. Piuttosto il fatto che tra il 2000 e il 2015, la nostra ricchezza sia cresciuta, nel complesso, di 0,5 punti percentuali. Contro i 18 della Francia, i 19 della Germania, i 23 della Spagna.
Lo strumento del superammortamento per i beni digitali potrebbe essere un driver efficace.
Allo studio della maggioranza parlamentare e del Governo, infatti, vi sono almeno due nuovi importanti bonus fiscali per le imprese: il bonus innovazione per le aziende sponsor ed il super ammortamento al 300%. Io, insieme ad altri colleghi dell’intergruppo innovazione, avevo già presentato nella legge di stabilità dello scorso anno un emendamento che diminuisse il superammortamento per i macchinari tradizionali ed elevasse al 170% l’ammortamento per i beni digitali.
Purtroppo l’anno scorso il governo lo respinse. Spero che quest’anno si vada fino in fondo su questi impegni.
Ma si deve riprendere questo tema, mettendoci dentro l’innovazione digitale e soprattutto l’Internet of Things. Spingere molto sul network e lavorare con strumenti di incentivi e defiscalizzazione legati all’innovazione. E in ogni caso questa politica industriale deve essere sviluppata nell’insieme del sistema Paese, non solo in una determinata area, perché se è vero che nella nascita delle start up c’è un picco della Lombardia, in particolare della provincia di Milano, nel resto delle Regioni la situazione è abbastanza omogenea. Ciò significa che nel Mezzogiorno c’è una potenzialità che si può aiutare a far crescere; naturalmente serve anche l’infrastrutturazione fisica, la circolazione delle merci e dei passegge; ma il gap sul terreno dell’innovazione digitale è più semplice da superare, anche grazie alla maggiore diffusione territoriale della banda ultralarga al Sud. In questo modo si aiuterebbe tutto il Paese a superare il gap di competitività e di crescita nei confronti dei partners europei e internazionali se è vero che i risultati complessivi non possono essere misurati solo in un’area e solo su alcuni indicatori.
Bisogna poi investire nelle competenze soprattutto Stem (science, technology, engineering and mathematics) e sulla ricerca
Dal rapporto dell’Ocse sulla scuola si evince che in Italia, tra il 2008 e il 2013 – gli anni della crisi – la spesa pubblica per l’istruzione è diminuita del 14%, che, citiamo dal rapporto, “riflette un cambiamento nella distribuzione della spesa pubblica tra le diverse priorità”, in quanto “per altri servizi pubblici la contrazione della spesa è stata inferiore al 2%”. Oggi l’Italia spende per la scuola il 4% delle sue risorse contro una media del 5,2%, cosa che ci posiziona al quartultimo posto tra i paesi Ocse e all’ultimo in Europa.
Occorre lavorare molto sulle competenze digitali che servono alle aziende e alla PA e che spesso non vengono reclutate perché, anche quando presenti, spesso non coincidono con il titolo di studio. C’è un milione di posti di lavoro che in Europa dovrebbe essere coperto da competenze digitali e stiamo lavorando, con la Regione Calabria e il professor Carnevale Maffé all’idea di un’alta formazione, non solo universitaria, che certifichi le competenze in maniera tale che le necessità delle aziende, ma anche della PA, possano essere puntualmente soddisfatte.
In prospettiva occorre creare nativi digitali effettivi. Oggi si parla di nativi digitali riferendoci a coloro che sono nati nell’era di internet. Per le generazioni future bisogna creare le condizioni affinché i ragazzi sappiano programmare fin da quando sono bambini. Già un primo passo è stato fatto con l’insegnamento del coding nelle scuole primarie previsto dalla “buona scuola”.
Infine dobbiamo augurarci che il Mercato Unico digitale Europeo sia un obiettivo più rapido dell’Unione politica.
Su questa strada credo si possa e si debba insistere.

INDAGINE CONOSCITIVA INDUSTRIA 4.0
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APPUNTI DELL’INTERVENTO
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